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L'Orchestra della Svizzera italiana ha proposto, dal 7 al 9 giugno al Lac, tre serate con le sinfonie dispari di
Ludwig Van Beethoven. Il gran finale, con la nona sinfonia, ha visto l'Osi affiancata da oltre 200 coristi di 13
formazioni ticinesi. Inizialmente previsto in Piazza Luini, l'evento si è tenuto nella sala teatro a causa del
maltempo, senza per questo perdere la magia. Ecco il «diario » di uno dei protagonisti della serata,
Maurizio Cattaneo del coro Santo Stefano Tesserete
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Tremarella e pelle di gallina
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Poi ci siamo trovati una sera di giugno al Lac per la prova generale assieme all'Osi. Una sala da concerto vera, e non l'aula magna di qualche scuola,
un'orchestra di 60 elementi, un maestro con la bacchetta… una sensazione nuova per molti di noi. Abbiamo così cominciato a provare il quarto movimento
della Nona con le gambe tremanti e una gran paura di sbagliare. I primi a entrare in gioco siamo stati noi bassi, rispondendo al solista che grida
«Freude» (gioia). Subito dopo ho sentito la gomitata dell'amico Claudio, compagno di tante cantate, segnale che solitamente indica che qualcosa non sta
funzionando per il verso giusto. Invece, accennando un sorriso, mi ha mostrato l'avanbraccio coperto dalla «pelle di gallina». Davvero eravamo entrati
in una nuova dimensione: solitamente la nostra sezione è composta da 4 elementi, stavolta eravamo in 40! Piano piano le voci hanno cominciato a prendere
forza e durante tutta la serata il maestro Poschner si è dimostrato molto benevolo e paziente, prodigandosi in sorrisi e in consigli. Comunicando in una
babele di lingue (inglese, tedesco, italiano) ha cercato di stemperare la tensione chiedendoci «more sound» (dare più voce), «enjoy» (godersela), «viel fresh»
(più fresco), per finire con un «you can dance if you want» (potete danzare se volete). Il messaggio era chiaro: dovevamo gustarci la gioia di cantare.
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«Sorridete: è la vostra serata!»
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Domenica 9 giugno è il giorno fatidico. Il concerto comincia alle 21, arrivo al Lac alle 18 e c'è già colonna per i biglietti che alle 19 sono esauriti:
è il primo concerto «sold out» della mia ventennale carriera. Questa volta non passo dalla cassa ma dall'entrata degli artisti; è bello sentirsi «dall'altra
parte». Prendo il mio posto sul palco e mi guardo in giro mentre l'orchestra si prepara. Tra i coristi l'eccitazione è al massimo: siamo tutti vestiti di
nero, ma l'orgoglio che traspare dai volti rivela un animo multicolore. Ancora una piccola prova, alla fine della quale il maestro ci dà la carica: «Voglio
delle facce contente, it is your evening!» (è la vostra serata). Mentre il pubblico riempie la sala, noi del coro rimaniamo in piedi una mezz'ora dietro
alle quinte, nelle posizioni assegnate per l'entrata. A sorpresa arriva ancora il maestro che ci augura «Toi, toi, toi», come a dire «in bocca al lupo» in
tedesco. A me questo incoraggiamento fa venire in mente un'altra cosa, soprattutto in un momento dove l'agitazione mette la vescica a dura prova. Finalmente
arriva anche il momento di entrare: lo sguardo abbraccia una muraglia umana di mille persone che applaudono convinte e sorridenti. Sembra una festa di
famiglia: tra il pubblico c'è chi saluta con ampie bracciate e dai coristi arrivano timidi cenni di risposta.
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In piedi al quarto movimento
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Poi l'orchestra comincia a suonare. I primi tre movimenti della sinfonia sono suo appannaggio, noi rimaniamo diligentemente seduti con lo sguardo fisso sul
maestro. A tratti pare un domatore che fa schioccare la frusta, quando con un gesto deciso indica l'entrata alle percussioni. Per altri versi uno che tira
di scherma, quando lancia verso il basso la bacchetta invitando gli archi a suonare. Poi lo vedi immergersi nella musica, socchiudere gli occhi e muovere
le mani come le onde che vanno dolcemente ad adagiarsi sulla spiaggia. Dal palco si vedono le facce degli spettatori catturati dalla musica, in particolare
la prima fila della platea che quasi va a toccare gli orchestrali, evidenziando ancora una volta il magico legame tra pubblico e artisti che contraddistingue
la serata. Il quarto movimento è per noi: a un cenno convenuto ci alziamo tutti in piedi e il primo «Freude» ben riuscito ci dà la carica. Le nostre voci
riempiono la sala e aggiungono potenza alla musica. Il maestro vuole grinta e felicità, lo vedi bucare il cielo con la bacchetta per invitarci a dare il
massimo con la voce al momento di dire la parola «Gott» (Dio). Sembra indicare la volta celeste dove, come dice il testo di Schiller, «muss ein lieber
Vater wohnen» (deve abitare un Padre affettuoso).
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Da Mr. Bean al Paradiso
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Dietro al coro campeggia sullo schermo la scritta «Alle Menschen werden Brüder» (tutti gli uomini diventano fratelli), il momento è commovente, il pubblico
estasiato. Io invece, preso dalla foga, sbaglio a girare la pagina e perdo il posto. Mi sento come Mr. Bean quando ha cantato la Nona
(provate a mettere «Mr. Bean Beethoven 9» su youtube).
Niente di grave, siamo in tanti e la mia mancanza non si sentirà, muovo la bocca senza fare uscire suoni e poi mi ricongiungo
al gruppo. L'esecuzione procede in crescendo, poco importa se qualche nota non esce per il verso giusto: la sensazione è quella di essere in Paradiso,
circondati da suoni celestiali e con tutta la gente attorno che fa festa. Mi riportano sulla terra i battimani che sottolineano la fine del concerto:
otto minuti di applausi con il pubblico entusiasta in piedi, maestro e solisti che entrano ed escono a ripetizione, orchestrali sorridenti e soddisfatti,
noi del coro appagati e felici. Un vero Inno alla gioia.
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